Adattamento teatrale del Piccolo Principe a Ravenna, dopo Roma: un capolavoro diventato aforismario da bancarella

il piccolo principe
L’ultimo adattamento teatrale del Piccolo Principe, l’indiscusso capolavoro di Saint-Exupery – a Roma, a cui non ho assistito per scelta e ora in arrivo al Teatro Alighieri di Ravenna – mi ha condotta a una riflessione su un’opera che da più di vent’anni continuo a rileggere alla ricerca di nuovi significati. Periodici remake, riadattamenti, esposizioni, film, aforismi e vignette, per uno scritto che siamo riusciti con successo a svilire e banalizzare, tralasciandone il contesto storico-politico e la sua caleidoscopica chiave di lettura.

Sono stata tentata dall’andare a vedere l’ennesimo rifacimento messo in scena a Roma, lo ammetto. Poi mi sono ricordata di quando a sei anni mia sorella mi regalò quest’opera a lei tanto cara, scrivendomi dietro la copertina una dedica in cui mi augurava di apprezzare sempre il piacere e il potere della lettura.

Proprio in quest’ottica, ho continuato a rileggere Il Piccolo Principe infinite volte, in ogni fase della mia vita, per riuscire a scoprire e contestualizzare sempre visioni nuove. Il seme era stato impiantato in tenera età, è vero: ma è solo con lo studio scolastico e accademico parallelo che si arriva alla consapevolezza di un significato.

Noi non possiamo dire di conoscere qualcosa solo per eredità, o grazie a un adattamento teatrale. Noi la dobbiamo sentire, un’opera, la dobbiamo amare e fare nostra, leggendola come più riteniamo opportuno senza mai perdere di vista l’orizzonte su cui è stata concepita dall’autore.

Nel mese di febbraio abbiamo ritrovato un adattamento teatrale del Piccolo Principe al Teatro Sistina di Roma, in una nuova versione destinata a girare l’Italia e la Francia. Sarà rappresentato anche al Teatro Alighieri di Ravenna dal 15 al 18 febbraio 2024. Ma quante volte lo abbiamo visto, rivisto, risentito? In un turbinio di riprese più o meno fedeli, il capolavoro che lo scrittore e aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry scrisse nel 1943 è stato infilato in uno spremiagrumi di massa che ne ha restituito un succo con cui ci siamo dissetati un po’ tutti.

Venuta al mondo esattamente ottant’anni fa, dopo un inizio dall’accoglienza incerta questa novella si è conquistata il titolo di classico della letteratura, con ben 140 milioni di copie vendute in tutto il mondo e traduzioni in più di 500 lingue. Si stima sia fra le prime cinque opere più lette nella storia, assieme a la Bibbia, il Corano e Il Signore degli Anelli. E poi giù con trasposizioni, adattamenti cinematografici, fumetti, balletti, spettacoli e chi più ne ha più ne metta. Un successo meritatissimo, dopotutto.

 

CHI DI ENIGMA FERISCE, D’IMPOVERIMENTO PERISCE 

 

adattamento teatrale del piccolo principe

 

Nella mia personale immaginazione mi piace pensare al Piccolo Principe come a un’opera in grado di parlare in tutte le lingue del mondo, fluttuante in ogni angolo del pianeta con una voce che arriva diritta al cuore. In questi ottant’anni volati, in molti hanno tentato d’interpretare in maniera univoca e ufficiale il significato di questo lavoro enigmatico, traducendo i messaggi segreti contenuti nella sua storia. Universale e al tempo stesso trasversale, capace di dire tutto ma con un’essenzialità stilistica quasi disarmante: questo è il miracolo che a mio parere permea le sue pagine e le rende ancora oggi, in assoluto, prive di eguali.

Eppure, Il Piccolo Principe resta ancora un vero e proprio mistero: lo abbiamo, troppo frettolosamente, giudicato all’apparenza semplice e veloce da leggere ma, in realtà, contiene una sovrapposizione creativa tutt’altro che facile da decifrare. Come ne siamo usciti, da questo labirinto, per non perdere l’opportunità di professarci grandi lettori? Ognuno ha deciso di spellare quella cipolla dell’immaginazione e staccare lo strato che più gli si addiceva. Dare alle cose la propria personale interpretazione, tuttavia, può spesso condurre ad una banalizzazione e generalizzazione dei significati, rallentando la spinta alla ricerca, allo studio e all’approfondimento che dovrebbe invece caratterizzare ogni essere umano pensante.

L’essere divenuto un best seller mondiale, ancora oggi sulle vette dei libri più venduti nella storia del mondo, gli ha remato contro: è diventato quasi un brand, un pensiero sulla bocca di tutti che ha fatto il giro del globo trasformandosi in un aforismario da bancarella, un grande luna park della morale dove tutti vanno a farsi un giro per sentirsi più buoni e più profondi. Ma, alla fine, quanti di voi possono dire di averlo letto davvero? O, comunque, di averlo letto profondamente e di essersi documentati sulle sue motivazioni?

Poco a poco, Il Piccolo Principe – ed ogni adattamento teatrale del Piccolo Principe – è diventato un fenomeno social che ha creato un effetto boomerang di banalità e incoerenze: tutti conoscono la celebre frase “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, eppure basta una rapida indagine per capire che pochi sanno ricondurla alla trama del libro e coglierne tutti i riferimenti ancora oggi fonte di dubbi sulla sua interpretazione.

Noi esseri umani siamo così: quando non capiamo una cosa o quando una cosa non ci manifesta il proprio senso chiaramente come un’equazione matematica, noi la trasformiamo in un gigantesco bacio perugina. Questa mania di traghettare il passato in un moderno reality show per aspiranti letterati è pressoché avvilente per quello che dovrebbe essere il sano processo di conoscenza (della storia e di se stessi).

La storia di questo masterpiece ce la ricordiamo di sfuggita perché una qualche maestra ce l’ha raccontata a scuola, un sabato mattina, prima che la campanella della ricreazione suonasse: un pilota atterra nel deserto per un’avaria al motore e, in preda alla sete, incontra un piccolo individuo dai capelli d’oro che gli racconta di provenire da un asteroide lontano, impegnato a girare per lo spazio e ora arrivato sulla Terra, triste per non aver ricevuto abbastanza da una rosa da lui amata. Poi, il racconto dell’incontro con la volpe che gli insegna ad addomesticarla, fino a quello con il serpente che gli promette il ritorno a casa con una conclusione ambigua e indefinita.

BREAKING NEWS: NON E’ UNA FIABA PER BAMBINI

 

adattamento teatrale del piccolo principe

 

Se è vero che l’essenziale è invisibile agli occhi, il merchandising ci ha resi totalmente ciechi e sordi. I personaggi metaforici, l’ambientazione immaginaria quasi da sogno e le diffuse illustrazioni di Saint-Exupéry hanno facilitato l’industria del libro nella catalogazione de Il Piccolo Principe fra i libri per bambini, i quali ancora oggi – proprio come me, che però a sei anni ero già vecchia dentro, mio malgrado – la leggono subito dopo i Tre Porcellini e subito prima di Harry Potter.

Mia sorella, i vostri genitori, tutti gli adulti degli ultimi ottant’anni vi hanno messo in mano un classico della letteratura francese che in realtà parla di disastri aerei, fughe d’amore e forse anche di eutanasia, spacciandola per un’innocua favoletta. Il Piccolo Principe è un’opera dal forte significato simbolico, un’opera per adulti, ma che dico: per adulti maturi.

E alle simbologie più evidenti e sopracitate si aggiungono ulteriori interpretazioni critiche verso il capitalismo, il consumismo, l’autoritarismo e la scomparsa dell’innocenza – in riferimento al cappello visto anche come un serpente elefantofago -. E non è tutto: a questi elementi va aggiunto lo scenario più importante di tutti, che è quello della guerra: l’opera è stata scritta nel 1942, mentre Antoine si trovava in esilio negli Stati Uniti, in fuga dalla Francia occupata dai nazisti.

baobab infestanti contro cui il Piccolo Principe lotta incessantemente sul suo piccolo asteroide non sono altro che i totalitarismi, da estirpare per evitare che prendano il sopravvento. In molti punti del racconto si evince anche il tentativo di superare il senso di vuoto che l’autore avverte davanti all’occupazione nazista del suo Paese.

 

IL POLITICALLY CORRECT DI CUI IL MONDO AVEVA BISOGNO

 

Adattamento teatrale del Piccolo Principe a Ravenna, dopo Roma: un capolavoro diventato aforismario da bancarella

 

La sua fantasiosa ma semplice trama merita sicuramente un posto d’onore fra gli scaffali della grande letteratura, capace com’è di renderci il testo comprensibilissimo e allo stesso tempo non completamente afferrabile. Il suo punto di forza, però, è diventato un alibi per trasformarlo in quella favoletta mainstream che basta che leggi qualche frase su Facebook per capire di che parla. E così, ci ha reso tutti lettori e letterati. Fra le domande da primo appuntamento, a cui sicuramente, dopo “ti piace viaggiare?” segue la più angosciante “qual è il tuo libro preferito?” possiamo finalmente tutti sfoggiare una risposta credibile, grazie al Piccolo Principe.

Se non ti piace Il Piccolo Principe, se non lo trovi profondamente etico e romantico non sei socialmente accettato, laddove un banale sentimentalismo da bancarella si traveste da intellettualismo. Dalla spremitura del frutto ricolmo di immagini, storia, sofferenza, filosofia ed enigmi coltivato da Antoine de Saint-Exupéry ne sono risultati aforismi e pillole di un nostalgico romanticismo infantile. Ed ecco là che tutti vogliono tornare bambini, perché l’adulto è brutto e cattivo, perché Tutti gli adulti sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano. Una semplificazione troppo ovvia per essere quella che l’autore avrebbe realmente voluto evocare.

Un capolavoro di certezze incerte e ambigue, dai contorni sfumati e quasi dolorosi, che il successo mondiale ha reso evergreen di facile rilettura e riscrittura. L’ultimo appiglio degli illusi, più illusi di un pilota in preda alle allucinazioni dovute alla sete. La pacca sulla spalla di chi vuole farci credere che la letteratura sia sempre consolatoria, giusta e moralmente accettabile, pur di renderla una macchina da soldi.

Oltretutto, l’ascesa de Le Petit Prince ha lanciato nel dimenticatoio tutti gli altri libri scritti precedentemente dall’autore, altrettanto belli e che personalmente vi consiglio di leggere: primo fra tutti, Terra degli uomini, in cui tra le altre cose l’aviatore racconta dell’incidente aereo, dei miraggi e di come fu straordinariamente messo in salvo da un beduino. E’ un groviglio di profonde riflessioni sul volo, sugli ideali, sulle relazioni e sull’umanità.

Non scherziamo: Il Piccolo Principe merita di essere uno fra i libri più letti al mondo. Ma è proprio questo il paradosso: “I grandi amano le cifre”, scriveva l’autore. Non deve essere amato perché tutti lo comprano, né perché è oggetto di continue e retoriche rappresentazioni teatrali e cinematografiche. Deve essere amato perché letto davvero, profondamente e con gli occhi di chi è pronto a vedere il marcio, oltre alla bellezza. In un’irrequieta ricerca del nuovo, non in un’inutile e sterile ripetizione del vecchio.

 

NON ABBIAMO PIU’ NIENTE DI NUOVO DA DIRE

 

Adattamento teatrale del Piccolo Principe a Ravenna, dopo Roma: un capolavoro diventato aforismario da bancarella

 

Mi prendo la briga, sempre più spesso, di contare quante cose il mercato decide che debbano periodicamente essere ricordate e ripercorse, come in una cantilena infinita. Un libro è una fetta di mondo atta a rimanere viva in eterno sullo scaffale di una libreria, pronta a rinnovarsi in ogni momento: mi chiedo quindi il motivo di tutto questo bisogno di continua ri-proiezione.

A che serve vendere in continuazione il passato? Dire cose già dette, ripetere cose già sentite? E’ un po’ il trend di questo periodo storico, mi pare evidente. L’appiattimento della filosofia – non solo di quella contenuta ne Il Piccolo Principe ma in tutto il tessuto culturale che ci ha accompagnati sino ad oggi – ci rende incapaci di qualsiasi sforzo mentale, di qualsiasi spinta emotiva.

Possibile non succeda più nulla d’importante, tale da essere raccontato e tramandato ai posteri con quell’ambiguità geniale utile a stimolare la capacità di ragionamento delle future generazioni? L’Occidente è diventato avido di concetti e arido di verità.

Avendo proiettato tutto in una morale virtuale dettata dagli aforismi da bancarella dei social network, non ci possiamo più permettere di esprimere un’opinione personale senza chiedere l’approvazione della community o senza andare a controllare se Google contiene una traccia già validata del nostro pensiero.

La storia e la quotidianità non la conosciamo realmente, non sappiamo nemmeno cosa succede davvero ai nostri amici, famigliari, vicini di casa o colleghi. Non li aiutiamo perché non sappiamo come aiutarli e perché non abbiamo più nulla da dare e da dire, siamo burattini inanimati privi di sentimenti, empatia e cultura.

Non ci fidiamo neppure del nostro stesso pensiero, per questo motivo l’unica soluzione è omologarsi agli evergreen triti e ritriti come Il Piccolo Principe che, essendo stati scritti da chi la vita la viveva veramente, di moralmente accettabile hanno in realtà ben poco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com