E’ trascorso oltre un secolo dalla prima pubblicazione di un’opera destinata a diventare un classico della letteratura mondiale. Di tempo ne è passato, eppure il masterpiece di Oscar Wilde non ha ancora terminato tutto ciò che ha da rivelarci.
La Gran Bretagna dei grandi miti e dei grandi culti letterari è la Gran Bretagna che ha davvero conquistato il mondo intero. Noi ce la immaginiamo ancora oggi così, una vita sprecata ma che val la pena d’essere vissuta. La vita intesa come opera d’arte, dedicata al rito della bellezza, dell’edonismo e dell’estetica (da esteta). Il ritratto di Dorian Gray altro non è, se non l’apice di questa concezione del mondo, propria della pecora nera del gregge letterario, il grande Oscar Wilde.
ORIGINE E ASCESA DI UN CAPOLAVORO
Tanto acclamato quanto punito, Wilde pubblicava Il ritratto di Dorian Gray esattamente il 20 giugno di 133 anni fa, sul numero di quel mese di Lippincott’s Monthly Magazine, mensile di letteratura molto diffuso in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America. Tempi in cui esistevano addirittura mensili di letteratura. Ed esistevano lettori di mensili di letteratura, come esistevano direttori in grado di dare valore alla letteratura e ai suoi talenti nascenti.
J.M.Stoddart, infatti, in quanto direttore del magazine, chiese proprio all’autore irlandese di produrgli un racconto incredibile, in grado di stupirlo, da pubblicare assieme a quello di un altro scrittore emergente, tale Arthur Conan Doyle, qualcuno che ci ricorda tanto un certo Sherlock Holmes.
Nel 1891 Wilde revisionò il lavoro e vi aggiunse sei capitoli, scolpendolo a forma di romanzo. Subito dopo, lo ripubblicò. In breve tempo e in maniera considerevole dai primi anni del XX secolo, Il ritratto di Dorian Gray si conquistò un posto nella squadra dei più grandi capolavori della letteratura, ispirando opere teatrali, musicali e, in seguito, pellicole cinematografiche.
Probabilmente qualcuno ricorderà la candidatura all’Oscar come migliore attrice non protagonista di Angela Lansbury, per uno degli adattamenti cinematografici più celebri che è quello del 1945 diretto da Albert Lewin.
IL RITRATTO DI DORIAN GRAY: IL CLASSICO CHE NON PASSA MAI DI MODA
Il classico che diventa eterno è quel classico senza tempo, costituito da pagine che a distanza di anni, ad una nuova rilettura, riescono ancora a nasconderci – giammai a rivelarci – qualcosa. Il ritratto di Dorian Gray è un romanzo che ha cambiato per sempre la vita di Oscar Wilde, che lo ha inserito nel mondo della letteratura come Titanic ha inserito Leonardo di Caprio in quello del cinema.
A differenza di quest’ultimo, però, il cui trampolino di lancio è stato solo un mero contenitore di dubbia qualità rispetto alla crescita artistica che lo ha visto protagonista negli anni successivi, il libro ha lanciato Wilde verso la notorietà con un’opera già di grande spessore, una storia dai forti contenuti filosofici e dal forte potere comunicativo. Che i lettori l’avessero capito o meno, che l’opinione lo avesse accettato o meno, Wilde si era già palesato in tutto il suo genio stilistico.
Neanche a dirlo: all’epoca, l’opera suscitò dissensi a non finire, per i suoi riferimenti omosessuali, cosicché Wilde si premurò di censurare alcune parti fortemente esplicite. A poco servì: lo scrittore venne comunque accusato di omosessualità e durante il processo il libro si trasformò in una perfetta prova del reato.
IL RITRATTO DI DORIAN GRAY: QUANDO LA BELLEZZA UCCIDE
Ma chi è Dorian Gray? Dopo 133 anni, qualsiasi risposta sembra mostrare sempre un margine d’incertezza. Dorian è un divenuto un simbolo nel costume e nella società odierni: un uomo che ama la sua bellezza sino a venerarla, al punto di essere disposto a tutto pur di custodirla. Il famoso patto col diavolo, lui lo fa con lo scopo di rimanere giovane in eterno, mentre un suo ritratto invecchierà per lui. Una Londra di fine Ottocento che, come al solito, viaggia avanti rispetto agli altri contesti culturali e letterari a lei contemporanei, presentando al mondo un lavoro sensazionale, a metà fra horror ed erotico.
Dorian Gray può insegnare tante cose. Può mettere al rogo l’individualismo o renderci partecipe della cultura individualista e dell’esaltazione dell’Io. Fondamentalmente, c’insegna a guardare oltre la vita e oltre la morte, predisponendoci a non esercitare mai particolare attaccamento e/o ossessione su nulla di tutto ciò che è materiale, poiché meramente apparente.
Ogni immagine riflessa, per quanto possa sembrarci immutata, può essere del tutto irreale o nascondere infinite altre immagini, non migliori né peggiori: semplicemente infinitamente differenti. Trattenere una sola di queste immagini in un’eterna istantanea è decisamente più difficile e sciocco di quanto non sia, invece, il lasciarsi andare a vivere tutte le versioni di noi stessi e di una stessa cosa, consci che la moltitudine è sincerità, mentre l’Uno, l’amore ossessivo verso un’unica cosa, è menzogna.
Vogliamo dirlo con le parole di un altro grande autore e pensatore nostrano che è arrivato, un po’ come Wilde, a questa conclusione?
Uno, nessuno e centomila.
Un ritratto, un filtro, una maschera, servono a rendere qualcosa come non è, convincendoci di poter così arrivare alla verità. Dimenticando, poi, che l’ossessione verso ciò che appare può farci perdere di vista la vita stessa. Può farci perdere di vista l’unica grande verità: che la v