Il teatro è un mondo meraviglioso, ricco di ruoli diversi e di ingranaggi che devono lavorare in perfetta sintonia per la riuscita di uno spettacolo. Tutto parte da un testo che, con la magia di regia, attori, luci, scenografie e musiche, diventa realtà. Ma è difficile scrivere una sceneggiatura teatrale? E quanto lavoro c’è dietro una rappresentazione? Ce lo racconta l’attrice e autrice teatrale, Veronica Liberale.
Veronica Liberale, le tue sceneggiature di solito vertono su tematiche sensibili: che messaggio vuoi dare agli spettatori?
A me piace scrivere sul sociale, anche se utilizzo la commedia e quindi toni leggeri per trattare certi argomenti. In realtà non penso mai al messaggio: faccio chiarezza su quello che io vorrei dire e vorrei scoprire, perché alla fine un messaggio agli altri è anche per se stessi. Sono stata fortunata perché ho sempre avuto la possibilità di trattare temi che mi stavano a cuore e ho ricevuto sempre ottimi riscontri. Cerco di parlare di temi che amo con sincerità, in modo che venga fuori un messaggio autentico. Quindi posso dire che negli spettacoli che scrivo cerco sempre l’autenticità e di trasmettere la passione per quello che sto trattando. Poi ovviamente ci sono tematiche che mi toccano più in prima persona, come il quartiere di San Lorenzo dove sono nata e cresciuta o l’autismo, ma mi impegno sempre per trasmettere un messaggio di autenticità e passione.
Tra i testi che hai scritto, qual è quello che ti ha dato maggiore soddisfazione da questo punto di vista?
Sicuramente Pane, latte e lacrime che abbiamo fatto a San Lorenzo il 19 luglio, la ricorrenza del bombardamento del quartiere. Quello è stato il momento più bello della mia carriera, perché vedere una piazza intera, Piazza dell’Immacolata, piena di gente in silenzio, che ride, che piange, che si emoziona per lo spettacolo mi ha fatto sentire, come si suol dire, profeta in patria. Se mi avessero dato il più grande teatro d’Italia non avrei comunque avuto quel riscontro, quella gioia, quell’emozione che riesce a dare un intero quartiere. Anche Gregory, che è una storia di famiglia in cui tratto il tema dell’autismo. Anche qui mi coinvolge in prima persona e vedere i genitori di ragazzi autistici ridere e ripercorrere con ironia le tappe del percorso che si deve intraprendere quando si ha un figlio autistico è stata una vittoria. Li temevo, onestamente, ma da mamma di un bambino autistico ho deciso di trattare questo tema con estrema ironia, seppur con sentimento.
Ovviamente tutto questo è stato possibile grazie allo staff: bisognava avere gli attori giusti che credessero nel progetto e si mettessero in gioco, il regista che capisse il testo.
Entriamo nella parte tecnica: è più complicata la stesura di un romanzo o di una sceneggiatura dal tuo punto di vista?
Senza dubbio di un romanzo, non c’è paragone. Ho iniziato da subito a scrivere per il teatro. Andavo all’università, Scienze Politiche, ero matricola e avevo il desiderio di salire sul palco come attrice. Andai quindi al teatro ateneo e c’era un corso di psicodramma, tenuto da uno psichiatra che scriveva testi così belli da essere utilizzati come esercizi alla Actor Studio di New York. Lui ci dava dei titoli stranissimi e ognuno di noi tornava con scritti uno diverso dall’altro: flussi di coscienza, racconti, monologhi… io scrivevo testi teatrali, atti unici di un quarto d’ora, lui li leggeva e diceva Ah, questo lo possiamo rappresentare!
Così ho iniziato, ma è per me era la cosa più semplice. Parlando proprio di tempistiche: per un testo teatrale ci vogliono due-tre mesi, al massimo quattro; per scrivere un romanzo ci ho messo due anni!
Dal mio punto di vista è più difficile perché nel romanzo tu autore devi scrivere per gli attori, per il regista, per gli scenografi, per tutti. Mentre per un testo teatrale io posso scrivere anche solo i dialoghi e qualche didascalia e far uscire dalle battute quello che i personaggi provano, senza location e altri dettagli che poi può decidere il regista, per un romanzo invece ci vuole molto più impegno e una cultura maggiore, secondo me.
Parliamo di Carlona, il tuo romanzo di esordio: com’è nato? E perché hai scelto la formula della favola?
Carlona è un romanzo di formazione che in realtà porta la parola favola nel titolo. È la storia di questa principessa che non ha una favola tutta sua e vuole andare a rincorrerla – un po’ il mito di essere famosa a tutti i costi. Carlona è nata dal teatro: due miei amici attori un giorno mi chiesero di scrivere un testo per bambini e mi venne l’idea di questa principessa senza favola che andava nella altre fiabe a rubare il posto alle protagoniste. Il testo era molto esile e la principessa non si chiamava Carlona, era uno spettacolo di un’oretta. I miei amici ne rimasero affascinati e i bambini che vedevano lo spettacolo mi chiedevano se si poteva vedere in televisione o se c’era il libro. Quindi mi sono detta che prima o poi questa principessa sarebbe dovuta diventare un romanzo.
Un altro motivo che mi ha spinto a realizzare e pubblicare Carlona: una principessa senza favola è l’amore che ho per la letteratura per ragazzi. Leggo tantissimi libri di questo genere e Gianni Rodari è il mio mentore, in un certo senso.
Il tuo ultimo lavoro, andato in scena ad aprile, ha coinvolto le signorine buonasera, un must di altri tempi… come ti è venuta l’idea?
L’idea mi è venuta qualche anno fa. Da piccola volevo essere una signorina buonasera, mi sono sempre piaciute. La vera molla però è scattata con la morte di Nicoletta Orsomando tre anni fa, la decana, una delle prime, e le bacheche dei social si riempirono di post su di lei e sulla figura della signorina buonasera, che entrava nelle nostre case con garbo e con un tipo di comunicazione che non esiste più – erano sensuali e belle senza essere volgari. Un post di Francesco Villari, in particolare, mi ha colpito e diceva La morte di Nicoletta Orsomando ci fa capire quanto siamo caduti in basso nella comunicazione. È vero, tutti possono dire tutto, tutti si sentono in diritto di insultare o giudicare. Si è persa la gentilezza, il rispetto. E quindi ho pensato che sarebbe stato bello dare voce a queste figure a teatro, così ho scritto il testo, ovviamente romanzato, che parla di due signorine buonasera – di fantasia – e di una donna che sogna davanti alla televisione negli anni ’50. Non manca poi l’elemento maschile. È un testo semplice, poetico, dolce, garbato, ma che ha avuto un successo che non mi aspettavo.
Altrettanto inattesa è stata la presenza di Maria Giovanna Elmi e Rosanna Vaudetti tra il pubblico alla prima dello spettacolo, davvero emozionante.
Raccontaci i tuoi impegni teatrali: è previsto qualche spettacolo estivo? O per vederti in scena dobbiamo aspettare il prossimo autunno?
Ogni anno collaboro con il comitato di quartiere e il 19 luglio faremo uno spettacolo nuovo, un debutto assoluto, che parlerà di San Lorenzo negli anni ’20, quindi l’ascesa del fascismo, gli squadristi, la marcia su Roma. Per il prossimo autunno ho in programma di riportare in scena le signorine buonasera e poi definirò il calendario degli altri spettacoli. Nel frattempo cerco una casa editrice per il mio secondo romanzo.
Veronica Liberale: che consigli daresti ai ragazzi e alle ragazze che iniziano questo percorso?
La prima cosa che direi è di interrogarsi se questa strada è veramente quella che vogliono percorrere. Dopo che si sono dati questa risposta, il mio consiglio è di studiare tanto, di seguire la linea della qualità, che ripaga sempre, e di ascoltare i consigli degli altri senza tradire se stessi: se hai un’idea portala avanti!