Nei primi anni Sessanta il Rock era già illuminato dal sole, non è che piovesse costantemente in attesa di un arcobaleno. Jerry Lee Lewis, Little Richard e the king Elvis avevano già superato gli ostacoli del bigottismo musicale garantendo un cielo sereno all’orizzonte. Quando però è uscito il primo album dei Beatles abbiamo assistito ad una nuova devastante rivoluzione musicale e culturale senza precedenti. Il sole è diventato accecante e le ultime nubi di fragilità si sono definitivamente diradate.
Il rock che si era ascoltato fino a quel momento parlava americano, ma nella vecchia Europa, in Inghilterra, c’era carbone ardente sotto la cenere. In molti l’hanno definita come la British Invasion. Stiamo parlando di voglia di emergere, di comunicare, di scuotere le coscienze, vivere ogni ora come fosse l’ultima. Stiamo parlando del primo album dei Beatles, l’alba di una nuova era.
IL PRIMO ALBUM DEI BEATLES: UNA NUOVA ALBA
Si vantano di aver inventato praticamente ogni sport sulla terra, di essere gli unici che guidano dal lato giusto della strada, di parlare l’unica lingua utile sulla terra: tanta arroganza genera inevitabilmente autostima e consapevolezza nei propri mezzi. Così, da quella terra antica e orgogliosa si sono imposte sulla scena grandi rock band che hanno fatto la storia.
The Rolling Stones, The Who e poi quei quattro ragazzotti di Liverpool partiti dalla chiesetta di Saint Peter, nei sobborghi della città nel centro del Regno Unito. John Lennon aveva sedici anni quando incontrò Paul McCartney che ne aveva quindici. Poi arrivò George Harrison e dopo di lui entrò nel gruppo il batterista più sfortunato al mondo: Pete Best.
Il percussionista, per dissapori caratteriali, decise di lasciare The Beatles quando ancora suonavano nei club di Liverpool. Forse non poteva immaginare le luci che avrebbero avvolto la band, comunque la sua si rivelò una sfortunatissima scelta. A lui subentrò Ringo Starr. Ancora oggi quando ti chiedono il nome di un batterista, tu rispondi Ringo nonostante non abbia l’abilità di Larry Mullen o la grinta di Phil Rudd.
Ma l’alone, la fama e la mitologia che avvolgono questo gruppo ha donato splendore anche ad un batterista non straordinario. The Beatles come beat, battere, picchiare, una musica che colpiva duro. Un gruppo unito che ha fatto del messaggio lanciato la loro più grande arma. La loro grandezza è stata quella di riuscire ad abbinare melodie indimenticabili a testi di grande formazione e contenuti.
ABBEY ROAD STUDIOS
La loro musica innovativa arrivò a George Martin, produttore della Parlophone Records. L’uomo rimase colpito da vari pezzi, fra i quali Love me do ed Ask me why. Dalla loro creatività e dalla lungimiranza del produttore si arrivò all’incisone dell’album di esordio. Molti non sanno che fu registrato in un solo giorno. In circa quindici ore di duro lavoro nei mitici studi di Abbey Road.
La loro musica fu incisa in un vinile che ha segnato l’inizio di una nuova epoca del rock. Gli Abbey Road Studios sono stati fondati nel 1931 dalla Emi e si trovano tutt’oggi nell’omonima via, nell’aristocratico quartiere di St.John’s Wood. L’edificio, costruito in stile georgiano, è stato più volte ristrutturato internamente: le sale di registrazione hanno vissuto gli sviluppi tecnologici di cento anni d’innovazioni musicali.
Al loro interno sono state incise anche molte colonne sonore di altissima qualità. Tanto per citarne alcune, Guerre Stellari, Camera con vista, il Signore degli anelli, Braveheart, Eyes Wide Shut. Il rock è entrato per la prima volta all’interno degli Abbey Road Studios quando Cliff Richard and The Drifters registrarono lì Move it, un pezzo che fa ancora parte della storia europea di questo genere musicale.
Ma la fama mondiale di questi studi la si deve proprio a George Martin che il 6 giugno 1962 portò i Beatles a fare la loro prima registrazione. Dal 1962 al 1969 il 90% del loro repertorio è stato inciso proprio all’interno di questi studi. Abbey Road è il titolo anche dell’album del 1969 dei Beatles e la foto della copertina, scattata da Iain MaMillan, ritrae i quattro sulle strisce pedonali fuori dagli studi. Quelle strisce sono diventate meta turistica per milioni di visitatori. Ad oggi è una delle foto più gettonate sui profili Instagram di chiunque passi un week-end a Londra.
IL PRIMO ALBUM DEI BEATLES: PLEASE, PLEASE ME
Questo cimelio della musica rock è uscito il 22 marzo del 1963, quindi circa un anno dopo l’incisione. Prima c’era stata l’uscita del singolo Please, please me che poi dette il titolo a tutto l’album. In copertina c’era l’immagine dei Fab Four, i favolosi quattro, ritratti nella tromba delle scale all’interno degli Studios. Questo primo 33 giri conteneva quattordici brani che, da subito, iniziarono a navigare per il mondo portando una folgorante carica esplosiva nel sound e nei testi.
In pochi mesi scoppiò in modo irreversibile la Beatlesmania. La gioventù dell’epoca iniziò a decidere come vestirsi, come pettinarsi, come camminare, come atteggiarsi, seguendo lo stile di quei quattro ragazzi di Liverpool. Una vera e propria onda di vita che dipinse per oltre dieci anni le giornate cupe in giro per il mondo. Stritolati dalla fama in pochissimi mesi, dal quasi anonimato alla impossibilità di uscire senza scorta.
Vendite e riconoscimenti non tardarono ad arrivare ed a soli vent’anni furono insigniti del titolo di Baronetti dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla Regina Elisabetta II. Quello che hanno fatto ha influito a dare un colpo di vernice alla vecchia Inghilterra. Fino al loro arrivo, gli inglesi avevano in casa la foto del comandante Horatio Nelson, autore di grandi battaglie navali che hanno portato a far sventolare la bandiera di sua maestà.
Nelle case, durante il tè delle cinque si parlava di lui, dei suoi cannoni, dei pennoni colpiti e delle golette affondate. Nelle abitazioni di Londra, di colpo, venne tolta l’effige dell’eroico ammiraglio a discapito del poster raffigurante quei quattro ragazzini con il caschetto in testa. Le argomentazioni cambiarono e s’iniziò a parlare d’amore, di fori, di pace e le palle di cannone finirono finalmente in secondo piano. Una vera rivoluzione generazionale.