La rassegna Mondovisioni, tenutasi poche settimane fa al Festival di Internazionale a Ferrara, riesce ancora una volta a consegnare agli occhi degli spettatori in sala squarci di vero provenienti dal mondo intero. È con il documentario intitolato Total Trust che la regista Jialing Zhang porta alla luce il lato oscuro della modernità e dell’attuale Cina.
Il documentario Total Trust racconta la storia di persone e famiglie che si trovano impigliate nel sistema di censura e controllo cinese e che si trovano costrette a lottare per difendere i propri diritti fondamentali all’interno della poco ospitale Cina del XXI secolo. La storia di un avvocato che, scomparso dal 2020 in circostanze misteriose, viene incarcerato semplicemente per aver svolto il suo lavoro: difendere – pro bono – i diritti di tutte le persone che avevano assistito allo smantellamento coatto delle loro case.
Tra taciuti spostamenti di carcere, continue petizioni al governo da parte della moglie, trattenuto in maniera arbitraria dal regime, l’unica opportunità che gli rimane è quella di sbugiardarsi. Non è la prima volta che la Cina compie azioni sistematiche di soppressione dell’opposizione.
Già con la 709 crackdown, durante l’estate del 2015, aveva messo in atto una dura campagna di repressione e detenzione degli avvocati e degli attivisti che lottavano in favore dei diritti umani. Tutti sono stati imprigionati, radiati, costretti a cambiare versione dei fatti, messi sotto stretta sorveglianza. Sono stati presi loro i dati biometrici: iride, impronte digitali, persino la voce per far sì che anche indossando una maschera sarebbero in grado di identificarli. Nulla sfugge al controllo della rete.
Basterebbero anche soltanto le tracce digitali lasciate da ciascuno di noi su internet. Abbiamo assistito, e la Cina ne è l’esempio, alla sovrapposizione tra identità umana e identità digitale.
TOTAL TRUST E TOTALITARISMO TECNOLOGICO
Il documentario esamina quindi il rapporto tra uomo e tecnologia, e di come quest’ultima collabori con il sistema di repressione e sorveglianza del partito cinese, al comando dal 1949. Sembra di essere dentro 1984 di Orwell o in una delle puntate distopiche di Black Mirror. Ma in questo caso è la spiacevole realtà.
Negli ultimi anni il governo cinese ha infatti usato la tecnologia per raccogliere dati e testare l’affidabilità di ogni cittadino. Ogni cosa che facciamo, diciamo, ricerchiamo sulla rete, preferenze sugli acquisti, abitudini di consumo, i soldi sul nostro conto corrente, il dettaglio delle spese, i post o le foto pubblicate sui social, la musica che ascoltiamo: tutto è tracciato e ricondotto a noi. Ogni traccia e dato.
Incrociare quest’ingente massa di dati permette una profilazione piuttosto dettagliata della nostra persona, delle nostre inclinazioni e gusti, della nostra personalità. Attraverso i big data il sistema conosce tutte le nostre attività. In qualche modo sa chi siamo.
I BIG DATA RENDONO PIU’ PRATICABILE IL TOTALITARISMO
Attualmente in Cina si stimano più di 300 milioni di telecamere in tutto il territorio. E se da una parte è vero che il riconoscimento facciale, propagandato dal sistema come uno dei progressi della tecnologia, di un modello di città futuristica e smart, tramite il quale effettuare pagamenti o ottenere un lasciapassare, dall’altra ha accentuato un controllo onnipresente h24 sull’intera popolazione.
Lo stato di sorveglianza è imposto dall’alto e ben organizzato: la comunità è suddivisa in blocchi, ognuno sotto la responsabilità di un gruppo di controllo. Persino all’interno dei quartieri vi sono civili che assumono la funzione di controllori. Registrano la routine delle persone, schedano e annotano comportamenti anomali.
Quis custodiet ipsos custodes: Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?
TOTAL TRUST. CREDITO SOCIALE
Da due decenni è in vigore in Cina il cosiddetto credito sociale, un sistema di giudizio a punti, per il quale ogni cittadino è classificato sulla base di un punteggio. È il modo migliore per il regime di controllare e schedare l’intera popolazione. Si parte con un punteggio di 1000 punti, dalla tripla A fino alla D.
I comportamenti deplorevoli o nocivi fanno perdere punti, le attività socialmente utili ne fanno guadagnare. Il motto è: consentire alle persone affidabili di fare ciò che vogliono e impedire alle altre di muovere un solo passo, così recita il documento governativo. Sono previsti premi e sconti per i più meritevoli, sanzioni e restrizioni per i più problematici.
Il credito sociale stabilisce numericamente la reputazione di un individuo. Attraversare con il rosso, guidare in stato di ebbrezza, avere un comportamento indecoroso ad un matrimonio o un funerale, fare petizioni contro il sistema, ogni atteggiamento dell’individuo è sottoposto a giudizio.
CENSURA E AUTOCENSURA IN CINA
Se si finisce nella lista nera i problemi possono essere molti: non si può acquistare un’auto o chiedere un mutuo per la casa, non si possono ottenere prestiti bancari, vengono imposte restrizioni sugli spostamenti, sui viaggi in treno o in aereo, non è possibile fare impresa. Si potrebbe persino assistere al congelamento dei fondi sul proprio conto corrente.
Come sostiene una delle protagoniste del documentario, la censura in Cina è forte ma l’autocensura ancor di più per paura di non finire nelle spire del sistema o di veder diminuire il proprio credito sociale e dunque le proprie libertà di base.
Un documentario urgente, Total Trust, che riesce a fornire uno sguardo intimo ed esclusivo sulla Cina, mostrando una storia profondamente inquietante di tecnologia, repressione e abuso di potere. Un’opera testamento, dallo sguardo nudo e oggettivo, che soltanto chi vive in prima persona può raccontare con precisione ed esattezza di particolari ed assurgere ad autentica testimonianza di cosa significhi vivere oggi in Cina.
Un momento di buio non ti accecherà.