I registi emergenti degli ultimi anni: i nuovi talenti da tenere d’occhio

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Chi ama il cinema, ama rischiare. A volte si finisce in Cinema d’Essai assopiti prima della fine del primo tempo. Altre volte si perde la vista cercando di leggere i sottotitoli di un documentario greco sulla salsa tzaziki. Spesso però capita d’imbattersi in giovani registi emergenti: tutti da scoprire. Dedichiamo questo articolo ad alcuni di loro, cercando di essere obiettivi e non campanilisti.

 

L’appassionato di cinema è costantemente affamato. È una fame atavica, come quella di un soldato in trincea, come quella di un topolino in un barattolo di vetro. Essendo io un cinefilo e vedendo cosa è diventata la mia vita, vi sconsiglio caldamente di non percorrere la mia strada. Attendere giornalmente l’uscita di un nuovo film, leggere il giornale solo per scrutare la programmazione serale, sognare di fuggire dal piccolo feudo per giungere in una metropoli piena zeppa di multisale. Tutto ciò però ha un vantaggio ed è quello di avere periodicamente una pattuglia di farfalle nello stomaco. Il vero cinefilo, infatti, non sceglie cosa vedere basandosi dalla locandina, non misura la qualità della storia dagli attori pluripremiati che la interpretano. Il vero cinofilo sceglie l’incognita, la sfida. Quella dei nuovi talenti, i registri emergenti che costruiscono il futuro del cinema.

 

I REGISTI EMERGENTI: DUNCAN JONES

 

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Molti hanno parlato di lui fra i registi emergenti soltanto perché è il figlio di David Bowie, ma devo dire che il talento che ha dimostrato dietro alla macchina da presa non è genetico, ma frutto di duro lavoro e studio. Duncan è una doccia ghiacciata nel mondo della fantascienza. Il suo esordio è stato con Moon e si dimostra sin da subito padrone dei tempi, degli spazi, degli essenziali dialoghi che non rubano la scena alle inquadrature. Una ottima fantascienza che, per fortuna, non dipende dai milioni spesi in effetti speciali pacchiani.

Duncan è riuscito a smarcarsi da stringenti regole commerciali dando spazio all’uomo, alla solitudine di un astronauta prigioniero da più di tre anni in una stazione spaziale deserta sulla Luna. Un racconto psicologico che finalmente non mette in risalto improbabili battaglie fra pianeti, ma è la mente la protagonista: la fatica lancinante di un solitario che sogna solo di riabbracciare presto moglie e figlia.

Durante la proiezione non si sente la mancanza di alieni dal petto deforme. Nessuno rimpiange un premio Oscar con la barba fatta ed i capelli pieni di brillantina. Uscito dalla sala non ho sentito l’astinenza di navicelle, alabarde, donne venusiane dalle unghie elastiche. E’ uno tipo di spazio che rimane alcuni giorni nella mente dello spettatore perché si basa sull’unica regola valida: la solitudine alla lunga uccide.

 

STEVE MCQUEEN

 

I registi emergenti degli ultimi anni: i nuovi talenti da tenere d'occhio

 

Nonostante un nome che richiama fama, bellezza e pellicole indimenticabili, lo Steve McQueen di cui vi parlo non è chi credete voi. Quando costui si presentò a Cannes con la sua opera prima, i più snob si chiesero se avesse sbagliato indirizzo. Anche per lui, come per Duncan Jones, il suo esordio è stato con un film indipendente.

Questo regista britannico ha dimostrato di meritare quel palcoscenico ed il suo Hunger ha stravolto i piani dei più scettici: ha lasciato tutti senza parole. È una pellicola violenta come una lucertola senza coda che si arrampica affannosamente. Ha una potenza visiva arricchita da chirurgici movimenti della cinepresa.

Il regista usa lunghi piani sequenza e si addentra nell’inferno vissuto dai carcerati nordirlandesi. Lo spettatore vive tutta la proiezione quasi in apnea, quasi si sente di essere rinchiuso nel carcere Maze e di fare lo sciopero della fame per ribadire i propri diritti. Un film veramente cattivo dove spiccano la privazione della libertà e la decisione di affamare a morte il proprio corpo senza paura della morte.

Rispondere a chi nega la libertà, con un’arma che nessuno può sconfiggere. Smettere di mangiare con consapevolezza per dimostrare quanto possono essere forti gli ideali dell’uomo. Esce fuori in modo prepotente la gestione della dignità umana. Tutto sotto controllo tranne la mente.

 

I REGISTI EMERGENTI: CELINE SCIAMMA

 

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Parliamo adesso della francese Celine Sciamma e del suo esordio con il lungometraggio Tomboy. Un successo di 300.000 spettatori francesi ed una distribuzione internazionale che le ha permesso di girare il mondo. Il tema del film è l’ambiguità della identità di genere trattato con una sensibilità fantastica dalla giovane regista. Lo definirei pieno di luce, infantile come un ginocchio sbucciato, delicato come un fiore fra le dita. Si racconta la storia di Zoe, una bambina di dieci anni che si trasferisce con la famiglia in un nuovo quartiere.

Nel nuovo luogo si completerà la sua trasformazione. Infatti Zoe si presenterà a tutti i nuovi vicini come Mickael. La bambina diventa un bambino che gioca bene a calcio, che sa menare, che difende sua sorella minore. Nessuno dubita di Tomboy, ma poi come in ogni storia che si rispetta tutti nodi verranno al pettine.

La sceneggiatura è molto curata e senz’altro ha aiutato i piccoli attori diretti in modo splendido da Celine. Obbligo e verità, statue di pongo, la schiuma nella vasca da bagno: tutto trattato con una mano femminile precisa ed elegante.

Da segnalare le due giovanissime attrici protagoniste: le inserirei nella top ten di genere; siamo ai livelli della coppia di Un sacchetto di biglie.

 

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