About Endlessness, un film di Roy Andersson

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Un’antologia sulla condizione umana, una raccolta di quadri, distinti ma interconnessi, di frammenti di vita che raccontano e parlano di noi, di cosa significhi essere al mondo, vivere, esperire. Questo e molto altro è la pellicola About Endlessness del 2019 di Roy Andersson.

 

È l’autore stesso a suggerirlo quando parlando di About Endlessness dice:

This film is about the endlessness of signs of existence, the signs of being human.

L’immobile cinepresa di Roy Andersson, autore svedese classe 1943, assiste e documenta il tragicomico svolgersi del dramma della vita. Una voce over ci accompagna lungo tutto il film, chiarisce quello che vediamo, fornisce informazioni, contestualizza. È una voce che lascia intendere, che ci dice di aver visto – e lo ripeterà ogni volta -, di esser stata partecipe di qualcosa.

 

ABOUT ENDLESSNESS: RACCONTO DI VITA UMANA

 

About Endlessness, un film di Roy Andersson

 

Quello che il regista mette insieme è un caleidoscopico campionario umano: due amanti sopra un mare di nebbia; una coppia che -dall’alto di una città addormentata – si gode il pacifico vociare della natura; si assiste al servizio di un cameriere con la testa altrove; di un povero Cristo che, pestato da una folla inferocita, domanda cosa ha fatto di male; veniamo a conoscenza della storia di una donna con un debole per lo champagne oppure a contatto con il dramma della morte visto dagli occhi di due genitori intenti a rendere bellissima la tomba del figlio.

C’è tutta la gamma cromatica della vita in About Endlessness: leggerezza e pesantezza, compassione e sopraffazione, redenzione e orrore, la complementarietà bipolare dell’esperienza. Lo sgomento di un prete che ha perso la fede, l’intransigenza di uno psicologo che non ha tempo per il paziente dell’ultimo minuto, lo straniante stupore di un uomo che all’interno d’un bar esclama ad una folla di sconosciuti:

– Non è fantastico?

– Cosa? -replicheranno i presenti.

– Tutto. Tutto per me-.

 

LA NUDA REALTA’ DELL’ESISTENZA

 

about endlessness

 

Ma anche un film che mostra l’euforia della gioventù, la spensieratezza d’un ballo. C’è tutta la nostalgia di na jurnata e sole suonata sotto la metro da un uomo visto calpestare una mina e perdere le gambe. Dominano i colori freddi e un grigiore diffuso in quest’opera che è al tempo stesso ode e lamento della vita, e che consente al regista di aggiudicarsi un Leone d’argento per la miglior regia al Festival di Venezia.

Momenti che nella loro apparente semplicità e artificiosa asetticità assumono maggior rilievo, una certa dose di enigma, sfociano nell’aperto. Un film sulla singolarità dell’esperienza umana, sull’imperscrutabilità della vita o forse sulla banalità degli affari umani. La sintassi è spezzata, a sé stante, racchiusa in ambienti fissi che fungono da contenitori di storie.

L’essenzialità della scena e la stringatezza delle battute non sono che la punta dell’iceberg. Quello di Roy Andersson in About Endlessness è un cinema denso, statico, stretto, ma al tempo stesso capace di trascendere i confini della cornice. Ci sono le infinite domande e le infinite peripezie della vita, c’è la vita stessa camuffata da maschera.

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